Chiara Miccichè
Chiara Miccichè ha frequentato il Master online su applicativi Office MOS con Certificazione di PC Academy
Chiara Miccichè ha frequentato il Master online su applicativi Office MOS con Certificazione di PC Academy
Corso online Scrittura Creativa
La fiaba di Marta
C’era una volta un gatto ciccione. Si chiamava Spenky ma per tutti era ” Succo di pulci”. Era nero con una grande chiazza bianca sul dorso. Era un animale che amava mangiare più di ogni altra cosa. La sua padrona Luisa gli preparava sempre dei succulenti pranzetti a base di primo, secondo ed anche dessert. Perché dovete sapere, cari bambini, che il cibo che Succo di pulci amava più di tutti era il cioccolato: fondente, al latte, bianco, con le nocciole o con il riso soffiato. Qualsiasi tipologia di cioccolato a lui andava bene. Ne era letteralmente ghiotto.
Spenky viveva con la sua anziana padrona da molto tempo ed ormai era abituato ad una vita piuttosto sedentaria. Passava dal letto al divano, dal divano alla sedia e dalla sedia alla zona cibo dove lo aspettavano ad ogni ora ciotole piene di residui di cibo e di crocchette. Questo grazioso gattone aveva due sogni: vivere in una cioccolateria e… volare! Si, avete capito bene: Volare! Guardava sempre documentari in televisione e provava invidia per tutti quegli uccelli che si libravano liberi nel cielo, mentre lui era inchiodato in una casa. Questo anche perché era talmente grasso da non riuscire neppure a muovere un passo. Si trascinava per i corridoi e spesso si arenava contro il muro a causa della stanchezza e del fiato corto.
Succo di pulci, chiamato così dagli altri amici gatti perché un’estate aveva preso le pulci e Luisa aveva dovuto togliergliele tutte ad una ad una, sognava di volare libero nel cielo azzurro come tutti quei volatili che anche in giardino vedeva e che, per invidia, cercava di acchiappare e privarli delle loro ali.
Un giorno, Succo trovò in giardino un gabbiano senza vita. Lo guardò fisso e si rattristò all’idea di una vita spezzata. Pensò di sotterrarlo sotto il salice piangente, luogo adatto per un eterno riposo e si accinse a farlo quando, però, gli venne in mente un’idea geniale! Tenete orecchie aperte: Il gabbiano poteva essere la sua occasione per volare e realizzare il suo sogno. Lo prese, lo portò in casa e sotto gli occhi stupiti di Luisa, se lo legò sulle spalle.
Restò così in quella strana posizione per un po’ di tempo, poi prese dalla ciotola una tavoletta di cioccolato che gli era avanzata dal pranzo, la ingoiò in un sol boccone e si avvicinò alla finestra. Luisa lo guardava stupita ed incredula ma conoscendo il suo piccolo amico, lo lasciò fare pensando che volesse solo mettersi un po’ in mostra. Succo di pulci prese una rincorsa, chiuse gli occhi e si gettò fuori della finestra. Cominciò a sbattere le ali del gabbiano che portava sulle spalle e volò.
Aprì gli occhi di scatto, si guardò intorno sempre continuando a muovere le ali dell’amico; guardò verso il basso e vide in lontananza casupole piccole piccole che erano la sua città. Per l’emozione pianse tante lacrime che scesero come pioggia dal cielo. Stava volando, il suo sogno si stava realizzando! E per il gabbiano era come tornare a vivere!
Finalmente aveva realizzato il suo sogno. Con tanto impegno, un po’ di fantasia e tanta voglia di provarci, Spenky in compagnia dell’angelo custode che aveva trovato nel gabbiano, ci riuscì e come lui potete fare anche voi bambini. Ovviamente non attaccandovi delle ali finte sulla schiena ma potrete comunque volare.
Con la fantasia prima di tutto come ho fatto io raccontando questa storia.
O più semplicemente con l’aereo, con la mongolfiera o con l’aliante…
Corso online Scrittura Creativa
Esercizio del “se fossi..”
Se fossi fuoco farei bruciare tutte le azioni cattive che un uomo può compiere.
Se fossi terra produrrei quegli alimenti necessari a saziare i bisognosi.
Se fossi il sole riscalderei con i miei raggi ogni parte della terra anche quelle più fredde.
Se fossi vento spazzerei via tutte le ingiustizie del mondo.
Se fossi il Presidente della Repubblica governerei per apportare sviluppo economico all’Italia.
Se fossi un milione di euro farei felice i miei cari.
Se fossi un’aquila librerei sempre più in alto nel cielo e sarei libera.
Se fossi un albero con le mie fronde potrei essere il riparo di tanti animali.
Se fossi acqua abbonderei in quei paesi dove c’è tanta siccità.
Se fossi la mio vicina di casa cercherei di stare un po’ più zitta e penserei più a me stessa.
Se fossi una ballerina realizzerei uno dei miei sogni da bambina.
Se fossi il capo di tutte le televisioni eliminerei tutti i film più violenti.
Se fossi un giornale pubblicherei solo le belle notizie.
Se fossi il mare con le mie onde produrrei tutto lo iodio necessario per far respirare i bambini asmatici.
Corso online Scrittura Creativa
Orfeo e Euridice: Esercizio del corso
Non turbarti, volevo dirti il vero, non
Forse non troverai senso in inutili quanto sentimentali parole di donna, ma per me, rivedere il tuo viso, solo un istante, ha valso una vita intera. L’inferno non è quello che credi, non c’è dolore, non c’è ansia, solo un eterno scorrere di inutili minuti; potrò perciò ritornare con la mente a quell’unico e solo istante. Ti sei girato e la sofferenza sul tuo viso ha fatto ridestare in me la voglia di vivere e, allo stesso tempo, mi ha fatto vedere l’ingiustizia di ciò che stavamo tentando di recuperare. Perché tu, Orfeo, senza la tua musica e senza la tua pena a nulla vali, e il tuo valore non può essere sminuito per amore. Non te l’avrei permesso, ma ansiosa camminavo dietro te, in attesa di vedere il tuo sguardo colmo di tenerezza e passione. Cosa non si fa per amore, adorato Orfeo. Il canto della tua lira e il dolce suono della tua voce hanno stregato dee e fatto infuriare divinità, ma mai nessuno ha osato contraddirti, nessuno mai. E ora tu cedi alla vigliaccheria per amore, supplichi di riavermi indietro e non sai, non sai, amore mio, quanto per me la tua esistenza sia più importante di qualsiasi fiore in boccio in primavera, qualsiasi rondine che si sposta in cerca di stagioni tiepide. La mia morte Orfeo, per la tua vita, io l’avrei data, perciò non mi far piangere, diletto, torna lassù dove il sole sorge ogni mattina, ma non dimenticarmi. Perché Eros, con i suoi puntigliosi inviti, ci ha incatenati, e l’amore vero, oh amato, l’amore vero è fatto d’anima, non d’altro. E chi non pensa così non ha mai amato. Non hai bisogno del mio volto per amarmi, ciò che desideri è il mio ricordo sempre vivo. Non angustiarti, non mi hai tradita, ti conosco; non odiare gli dèi per l’ingiustizia subita, poiché tu sarai ricordato grande e musico. Forse che le tue avventure non ti basteranno? Sarò con te. Forse che la rugiada non ti darà ristoro? Sarò con te. Guardami, volgiti e dammi il respiro che mi è mancato nell’Ade, ridonami la consapevolezza di essere amata, ché non c’è pienezza in una donna se non è amata dallo stesso uomo per l’eternità. E mi amerai tu, te lo ordino e supplico, mi amerai perché non c’è altra come me, che darebbe l’anima sua per un sorriso dolciastro e amaro, per un colpo di frusta, per uno schiaffo. Giuro, non c’è altra.
Il ricordo fortifica l’animo; non ti abbandonerò alla sorte infausta, ma intercederò per te presso il regno dei morti, affinché da quaggiù tu venga protetto, perché il tuo destino mi è caro. Questo posso prometterti, il mio spirito aleggerà avvolgendoti quando suonerai e affascinerai chi, intorno a te, si riunirà per ascoltarti. E ti ascolteranno, amore.
Non piangere. So che sta piangendo, vorrei che potessi sentire le mie grida; lacrime per quella , che tu credi una perdita, non voglio vederne sulle gote mascoline.
Ti dico, invece, Orfeo, che il tuo errore ti è valso la gloria eterna, ed è quella che il nostro amore cerca, l’eternità. Non è vero che le tue labbra si posavano sulle mie in una promessa senza fine? Non è vero che le tue mani stringevano le mie nella fiducia del per sempre? Non accetto menzogne, ciò che hai scelto è oltre la vita: sei mio.
Scriviamo la nostra vicenda nel cielo; la storia parlerà del nostro amore. Dimentica perciò il dolore del cuore, e apprestati all’elevazione dell’animo. Non c’è vero amore nel tempo, non c’è verità senza agonia. Ricordati di me e le generazioni future non si scorderanno mai di noi. È questo che conta, che ciò che ci lega non abbia mai fine, lontani o vicini.
Corso online Scrittura Creativa
Da Vezia
Vezia, situato in una lontana galassia nell’intorno della stella Vega, nella costellazione della Lira, è un pianeta molto simile alla città di Venezia, immerso in una laguna d’acqua dolce. Qualche tempo prima, 3 valorosi astronauti del suddetto pianeta, intrapresero un viaggio verso un altro mondo abitabile del sistema solare, nella galassia della Via Lattea. Questo fu reso possibile dall’alta tecnologia che il pianeta vanta, unito alla relativa vicinanza, in termini astronomici, alla Terra, ovvero soli 25 anni luce. Nonostante il grande progresso di Vezia, sebbene il loro efficientissimo paratelefono, un telefono dotato di una mini-parabola, potesse prendere a migliaia e migliaia di kilometri, Jim, Mark e Ping nulla poterono di fronte al vento solare. I 3 astronauti vennero deviati con le loro navicelle in direzioni diverse e si persero inevitabilmente.
Jim, finì sulla Terra e se la vide con squali e altri temibili pesci, ma alla fine, in virtù della strepitosa capacità degli abitanti di Vezia di cavarsela molto bene con le grandi masse d’acqua, riuscì a scamparla. Il riposo, però, duro appena qualche ora, il tempo di radunare rinforzi e ripartire per il sistema solare, alla ricerca dei 2 amici.
Nel frattempo, Mark, se la stava vedendo brutta, alle prese con un caldo torrido, disorientato in uno sconfinato paesaggio, buttato su un terreno pieno di sabbia rossa.
Il paratelefono da loro posseduto, benché resistente a temperature estreme, sia in un senso che nell’altro, sebbene anche la sua estrema resistenza all’acqua, nulla poteva contro il sale. Fortunatamente però, prima che il paratelefono di Jim andasse fuori uso, riuscì a colloquiare con i suoi compagni e a capire dove si trovavano: uno, disperso in un gran deserto rosso, l’altro, Ping, in un territorio completamente ghiacciato.
Dopo varie ipotesi, Jim e i suoi compagni giunsero alla conclusione che Marte sarebbe potuto essere il pianeta dove Mark e Ping si siano diretti in seguito a quell’incidente. Infatti Marte, il pianeta rosso, poteva corrispondere al deserto rosso descritto da Mark, mentre i ghiacci alle estremità facevano pensare più al territorio descritto da Ping. Dopo vari tentativi di contattare i 2 dispersi, un certo clima di sfiducia cominciò a diffondersi; infatti non si ebbe nessuna risposta e il clima di Marte, piuttosto freddo, portò a escludere la possibilità di trovarvi Mark.
Duran durante Mark e Ping avevano ormai perso le forze ed entrambi caddero quasi simultaneamente al suolo. Le tute spaziali erano quasi distrutte e, il rischio che la diversa composizione chimica dell’aria potesse penetrare fatalmente all’interno del casco, ormai notevolmente provato, aumentava inesorabilmente. Come se non bastasse, a prescindere, la riserva del loro gas vitale presente nelle bombole era ormai ridotta al minimo.
A questo punto tutto sembrava perduto e, Jim, vide in lontananza la Terra, immersa tra il rossastro dell’atmosfera marziana; si perse a guardarla e, inconsciamente, si fermò su alcuni particolari che gli fecero balzare alla mente una nuova supposizione. Notò infatti che anche la Terra presentava dei territori ghiacciati alle estremità, si accorse tra l’altro che non era tutto mare e oceani, come la quasi totalità del loro pianeta. Fece immediatamente due più due e azzardò l’ipotesi che forse erano tutti finiti sulla Terra, ma in posti completamente diversi. Per Jim e gli abitanti di Vezia non era così intuitivo fare certe ipotesi, in quanto sul loro pianeta, il paesaggio era tutto uguale, una immensa laguna insomma, di conseguenza il clima era sempre lo stesso, variava solo periodicamente nel tempo, in base alle stagioni, ma non da luogo a luogo.
L’intuizione di Jim fu esatta, infatti scoprirono che Ping era capitato nella parte nord della Terra, l’Artide per intenderci, mentre Mark, nell’immenso deserto del Sahara. Proprio in extremis tornarono tutti sani e salvi su Vezia.
Corso online Scrittura Creativa
Sono caduto da una nuvola grigia che viaggiava nei cieli, ho intrapreso il mio viaggio per toccare la terra ed essere assorbito dagli alberi, mi hanno detto che un giorno sarei tornato a casa e così, senza paura decisi di partire.
Mentre viaggiavo nella fresca leggerezza del vento, andai incontro ad un bellissimo albero a punta. Mi appoggiai ad una spina e veloce scesi giù fra i rami nodosi, attraverso le foglie, e poi di colpo mi fermai.
Pensai che la mia corsa non doveva finire così e fu proprio in quel momento che mi accorsi che mi stavo gonfiando, il mio peso aumentò e aspettando il momento giusto, mi staccai finché la mia corsa finì fra le piume di un bellissimo corvo.
Mi persi in quel mare nero finché col suo becco mi trovò e diventai parte di lui.
Con tutta la forza che possedevo feci uno slancio dal ramo per uscire dalla chioma di questo albero e con la forma di un razzo puntai verso l’esterno, aprii le ali per planare sopra le case mentre l’aria mi accarezzava le piume e guardai vigile finché non vidi un verme.
I miei sensi si acuirono, aderii le mie ali al corpo il più possibile e mi buttai in picchiata verso la preda.
Arrivai vicinissimo e senza neanche toccare terra, spalancai il becco per assaporarne il gusto. Continuai la mia salita verso l’alto, mentre cercavo furtivo un altro ramo su cui poggiare. Questa era la mia vita da un tempo infinito fino al momento in cui un cambiamento mutò la mia esistenza.
Qualcosa colpì la mia attenzione quel giorno, ma non era un albero e neanche una preda, era un palazzone con molte finestre e molti movimenti al suo interno.
Sembrava un acquario in cui le persone vivevano rinchiuse a voler escludere il mondo esterno dal loro mondo interiore.
Continuai a volare e a planare in cerca di qualcosa di interessante da osservare, scorsi tutti i piani ma nulla mi attrasse e quindi decidetti di allontanarmi finché una finestra, l’unica aperta nonostante il freddo dell’inverno, non richiamò la mia attenzione.
Prima di toccare il poggiolo le mie ali si aprirono fermando la mia corsa con rispettoso silenzio.
Era la prima volta che la vedevo, sopra il suo letto, distesa a pancia in giù, dubbiosa come se non credesse a ciò che sta pensando.
Di fronte a lei ha dei fogli bianchi, una penna e un computer, un cane disteso al suo fianco che dorme beato, ed io che continuo ad osservarla attratto dalla sua presenza.
Cosa starà mai cercando? Cosa starà facendo?
E mentre mi ponevo queste domande, guardò dalla mia parte e uno sguardo di stupore si dipinse sul suo viso rendendolo luminoso.
Una lacrima spunta dall’occhio, scivola sulla sua guancia e dolcemente si appoggia sulle pagine scritte creando una macchia di inchiostro blu in una pagina di quadretti.
Si mette a sedere sul letto, i suoi movimenti sono lenti per timore di vedermi volare via, ma basterebbe solo che chiedesse e io le volerei al fianco.
Mi viene incontro e non voglio andarmene perché scopro che mi piace stare qui ad osservarla.
Mi parla dolcemente ma non so cosa dice, la sua voce è calma e serena e il sorriso è ancora li per me.
Il mio cuore si apre e scoppia di felicità, spicco il volo di nuovo e a tutta velocità punto verso il basso la mia corsa, non perché vedo una preda ma perché voglio che lei mi guardi fiera.
Apro le ali e mi adagio a terra, cammino in tondo, e ogni tanto controllo se lei è ancora li che mi osserva.
Ha appoggiato i gomiti sul poggiolo e sulle sue mani ha posato la sua testa, dalla sua posizione sembra non volersene andare allora inizio a camminare fiero, ma altri uccellini, sempre neri ma col becco arancione mi camminano intorno.
Preso dalla paura che mi perda di vista, spicco il volo e mi adagio sul ramo di un albero che arriva molto vicino alla sua finestra.
Il nostro sguardo si incrocia e lei mi sorride con aria serena.
Sento ancora la pioggia che cade sulle mie piume e delicatamente scivolano giù accompagnate dalla
forza di gravità, passeggio avanti e indietro perché non voglio che si annoi, voglio che mi guardi perché sono li per lei.
Quando mi giro però lei non c’è più, ha chiuso la finestra dell’acquario che contiene i suoi pensieri e mi sento solo perché non riesco a sentirli.
Apro le ali e il mio cuore batte forte, non voglio perderla ora che l’ho ritrovata.
Sento l’aria che con la sua forza trasparente mi culla verso la sua finestra, finché non arrivo al suo poggiolo e la trovo distesa sul suo letto, ma questa volta scrive concentrata.
La sua mano non finisce di muoversi, perché un mare di inchiostro sta solcando il foglio bianco e come in balia della tempesta, butta la sua rete per catturare i pensieri prima che questi sfuggano. Scrive e scrive, si alza cammina e scrive, si porta la penna alla bocca in cerca della parola giusta da inserire, la sua fronte si corruga per i troppi pensieri che bussano per uscire, le sue gambe mai ferme per scattare dietro al pensiero sfuggente.
Così la osservo nei giorni a venire e mi affeziono alla sua presenza costante e rasserenante.
Ogni tanto alza lo sguardo alla finestra e se non mi trova, si affaccia per cercarmi nel sole e nella notte.
Un giorno, trovai la finestra aperta e lei non c’era, balzai sulla sua scrivania su cui tanto lavorava e vi trovai un mucchio di fogli bianchi uno sopra l’altro. Il primo del mucchio era strano perché era tutto bianco con alcune parole scritte a penna nel centro, feci fatica ma misi a fuoco le parole e riuscii a leggere.
“Di fronte a te…Un bellissimo corvo nero”.
E così capii che anche io le appartenevo.